Mimmo Rotella e il Cinema Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno

Mimmo Rotella e il Cinema
Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno
13 marzo – 14 agosto 2016
A cura di Rudy Chiappini e Antonella Soldainimimmo-rotella-per-un-pugno-di-donne[1]

Inaugurazione: sabato 12 marzo 2016, ore 17.00

Con l’esposizione “Mimmo Rotella e il Cinema” allestita alla Pinacoteca Comunale Casa  Rusca, la Città di Locarno celebra l’opera di una delle personalità più rappresentative e  influenti dell’arte italiana del secolo scorso.
Nel suo percorso di vita artistica Domenico Di Rotella (Catanzaro, 1918 – Milano, 2006),
alias Mimmo Rotella, si è sempre dimostrato un grande sperimentatore. La sua capacità di
aprire uno spazio nuovo e di rivoluzionare i linguaggi artistici del dopoguerra lo ha fatto
apprezzare nel mondo e, in particolare, nelle grandi capitali dell’arte che sono state il
teatro della sua indagine (Roma, Milano, Parigi e New York).
Oltre che alle principali mostre dei Nouveaux Réalistes ed a più di cento esposizioni
personali in Italia e all’estero, l’artista ha partecipato ad importanti rassegne internazionali
fra cui “Italian Metamorphosis” al Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1994),
“Halls of Mirrors” al Museum of Contemporary Art di Los Angeles (1996), mostra dedicata
al centenario del cinema dove sono state affiancate le Marylin storiche di Rotella e di
Warhol, “Face à l’Histoire” al Centre Pompidou di Parigi (1996), sino ad arrivare alla
partecipazione come maestro storico alla 49esima Biennale di Venezia (2001).
Il percorso espositivo – in cui sono presenti una settantina di opere – si focalizza sul
periodo a ridosso degli anni Sessanta fino al termine della sua carriera artistica avvenuta
con la sua scomparsa nel 2006 all’età di 87 anni.
Artista eversivo, inventore inesauribile, autore di poemi e di composizioni musicali,
suonatore di strumenti a percussione, cantante, attore, viaggiatore instancabile, amante di
belle donne. La vita di Rotella sembra tratta da un romanzo. Da bambino riflessivo e
intimamente riservato ad adulto incline alla meditazione quale veicolo per dare
espressione alla propria creatività, Rotella descrive così la sua filosofia: “Ci vuole distacco,
sintesi, compassione. Soprattutto ci vuole un radar mentale orientato costantemente sulla
società”.
Interprete sottile di un mondo in rapido cambiamento, Rotella ha documentato i costumi e
gli avvenimenti della sua epoca, divenendo lui stesso un personaggio di quella “società di
massa” caratterizzata dalla nuova cultura dell’effimero che trova nella comunicazione
mediatica la sua ragione d’essere.
Rotella anticonformista lo era davvero tanto da essere l’ispiratore dell’esilarante personaggio di “Un americano a Roma” di Nando Moriconi interpretato da Alberto Sordi: nel 1952, tornato dagli Stati Uniti dopo un soggiorno alla prestigiosa Università di Kansas City grazie ad una borsa di studio della Fulbright Foundation, girava per Roma vestito “all’americana”, secondo una sua idea di elegante eccentricità. Il mito dell’America è di fatto all’origine di molti dei suoi comportamenti esibizionistici e pittoreschi.
Conclusasi l’esperienza americana, Rotella attraversa una profonda crisi creativa. Convinto che non ci sia più nulla di nuovo da fare nell’arte, interrompe la produzione pittorica e si rivolge quasi esclusivamente a quella poetica e musicale. Come preannunciato nel suo Manifesto dell’Epistaltismo (1949), compone e declama poemi “fonetici” tramite il linguaggio epistaltico descritto come “il mezzo espressivo costituito da parole e da suoni senza alcun nesso logico o significato apparente, ma aventi in se stessi un contenuto emozionale. Dove la parola è soprattutto suono e la voce non deve essere limitata dalla monotonia del linguaggio articolato.”
È però in questa Roma degli anni Cinquanta in cui si respira un clima culturale effervescente e dinamico concentrato sul dibattito tra astrattismo e arte figurativa, che l’artista ha improvvisamente quella che definisce “illuminazione Zen”: la scoperta del manifesto pubblicitario come espressione artistica della città.
Furono le lacerazioni causate dalle intemperie e dai passanti a suggerirgli nel 1953 di strappare furtivamente i manifesti affissi sui muri per poi collezionarli nel suo atelier. Con grande intuizione e preveggenza, Rotella si appropria del manifesto e dei suoi frammenti. Nascono i primi décollage e i retro d’affiche costituiti da vari strati di manifesti incollati su una superficie di cartone o di tela, siano essi il recto o il verso, rielaborati nello studio tramite un raschietto appuntito (che richiama lo strumento del pennello ma che è più industriale e impersonale), con cui traccia dei ritagli sui lembi di carta.
Un’invenzione in sé inevitabile, tanto che circa negli stessi anni altri artisti la sviluppano. Infatti Rotella ritrova accanto a sé Mahé, Hains, Dufrêne, Deschamps i quali, su invito del critico francese Pierre Restany nel 1960, confluiscono nel Nouveau Réalisme che riunisce, fra gli altri, Klein, Arman, Tinguely, Spoerri, César e Christo.
Il movimento intercetta la straordinaria trasformazione degli anni Sessanta in cui il vero protagonista è il consumismo in tutte le sue differenti declinazioni. È un mutamento profondo percepito chiaramente da Rotella che ricorre ad un simbolo del contesto urbano e lo immette nel circuito dell’arte. I suoi décollage che, fino ad ora erano stati prevalentemente monocromi, cambiano aspetto in uno scoppio di forme e colori, contrassegnati da una ricchezza segnica e visiva dove lo strappo emerge in tutta la sua carica trasgressiva e provocatoria. Riprendendo le parole di Rotella: “Io incollo i manifesti poi li strappo: nascono forme nuove, imprevedibili. Ho abbandonato il cavalletto per protesta.”
In questa sua necessità di andare oltre la pittura per conquistare nuovi spazi fisici e mentali Rotella decide, in seguito, di impadronirsi di tutta l’immagine del manifesto. Smette di produrre i retro d’affiche in favore dei décollage contraddistinti da immagini chiaramente leggibili e orienta la sua produzione verso opere di tipo maggiormente figurativo (Divertirsi a dare, Le cachet, Voto comunista).
Sempre più attivo tra l’Europa e gli Stati Uniti, Rotella lavora a stretto contatto con gli artisti a lui contemporanei, esperienza che culmina nella partecipazione a due esposizioni collettive “The Art of Assemblage” (1961) e “New Realists” (1962) tenutesi a New York.
Nel 1962, gli spunti iconografici e linguistici del cinema e del manifesto cinematografico sono presentati in occasione della sua prima personale parigina “Cinecittà” alla Galleria J. Rotella irrompe nell’universo delle celebrità del grande schermo (La dolce vita, The hot
Marilyn) e si appropria dei volti dei grandi miti di Hollywood (Marilyn Monroe, Liz Taylor, Rita Hayworth, Clark Gable, John Wayne, Cary Grant, Elvis Presley, Liza Minnelli, Anita Ekberg, Sofia Loren, Marcello Mastroianni), dell’aspetto grafico delle scritte e dei titoli, ma anche delle immagini da circo (La Tigre), della cartellonistica pubblicitaria sui beni di largo consumo (Il punto e mezzo, Birra!), come delle tragedie politiche (L’ultimo Kennedy).
In occasione della 32esima Biennale di Venezia del 1964, a Rotella viene assegnata una sala dove trovano posto i grandi décollage realizzati negli anni precedenti tra cui Marilyn (1963), l’opera che ottiene più successo. È la consacrazione ufficiale. L’artista viene invitato nel periodo più drammatico della sua vita: accusato di possesso e spaccio di stupefacenti e materiale pornografico, Rotella trascorre cinque mesi di detenzione a Regina Coeli fino al processo, conclusosi con un’assoluzione generale. L’esperienza del carcere lo segna profondamente tanto che decide di trasferirsi a Parigi, dove resterà per una quindicina di anni, accolto dall’amico Restany e dalla moglie Jeannine. Torna in Italia nel 1980 per stabilirsi definitivamente a Milano.
Ricercatore infaticabile, Rotella sperimenta tutte le possibili variazioni sul tema delle affiche senza sottrarsi ad altre strade dell’avanguardia: dalla Mec-Art o arte meccanica (1964) in cui sviluppa la tecnica dei riporti fotografici ovvero la stampa di fotografie tratte da ritagli di giornali, riviste e istantanee scattate con la Polaroid e proiettate sulla tela emulsionata, agli artypo o arte tipografica (1966-73) caratterizzata da quadri realizzati con prove di stampa riprodotte liberamente sulla tela, alla tecnica dei blanks (1980) in cui i manifesti sono ricoperti da fogli bianchi che occultano l’immagine sottostante (come avviene per la pubblicità scaduta), fino alle sovrapitture (dal 1986) ispirate al graffitismo in cui sui manifesti appone un segno pittorico e/o traccia delle scritte come quelle che si leggono sui muri (messaggi d’amore, scritte politiche, ecc.).
All’inizio degli anni Novanta ricorre alle sculture-architetture in cui i manifesti sono stesi su supporti di poliuretano per ottenere degli effetti tridimensionali (Coca-cola, 1997). Il mondo dell’alta moda inizia a subentrare nell’immaginario di Rotella che realizza alcune opere che celebrano le creazioni delle più note maison italiane (Versace, Armani, Prada e Max Mara).
La sua ricerca espressiva non sembra arrestarsi e, alla metà del decennio, avvia la serie “Nuove icone” in cui l’artista unisce alla tecnica delle coperture quella delle sovrapitture, per giungere infine alle sovrapitture su décollage e su lamiera: questi interventi pittorici su manifesti lacerati e incollati su pannelli metallici caratterizzano la stagione più recente dell’artista.
Nel 2000, per volontà dell’artista, è stata costituita una fondazione a cui ha fatto seguito l’inaugurazione nel 2005 della Casa della Memoria a Catanzaro: la casa natale raccoglie un corpus di opere importanti del Maestro e si pone come punto di riferimento per lo studio, la divulgazione e la promozione dell’arte contemporanea.
La mostra, in collaborazione con la 69esima edizione del Festival del film di Locarno, resterà aperta fino al 14 agosto 2016.

 

 

Mimmo Rotella e il Cinema Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarnoultima modifica: 2015-12-28T13:15:24+01:00da modaefashion
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